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Il Viaggio di Dante e la Bhagavad-gita

Il Viaggio di Dante e la Bhagavad-gita

‘L’amor che move il sole e l’altre stelle.’
Nella prestigiosa cornice storico-artistica del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, Marco Ferrini terrà una conferenza nella quale dialogheranno la Divina Commedia e la Bhagavad-Gita, universali monumenti del pensiero occidentale e orientale che, a distanza di molti secoli, ancora ispirano l’uomo moderno nel suo anelito di evoluzione e realizzazione, sia dal punto di vista laico che religioso.
Esplorando le convergenze esistenziali tra queste due opere di filosofia perenne, i partecipanti avranno l’opportunità di fare un viaggio in altre dimensioni che rappresentano differenti livelli di coscienza nella ricerca del senso della vita.
La Commedia e la Gita sono un compendio d’insegnamenti cosmogonici, antropologici ed escatologici, di filosofia, psicologia, etica e spiritualità. L’intreccio di queste tematiche esprime la sostanziale continuità tra i diversi piani dell’essere e la fitta serie di corrispondenze fra micro e macrocosmo.
Se è vero che un’opera è grande nella misura in cui fornisce strumenti teorici e pratici per poter realizzare livelli alti di consapevolezza, e se offre concetti, suggestioni, modelli di vita adatti ad affrontare e risolvere i problemi esistenziali dell’individuo e quelli più complessi della società, allora non è azzardato affermare che la Commedia e la Gita sono scritti di intramontabile valore.
L’intento dell’incontro è il disvelamento del significato congiunto delle due opere oltre i noti contenuti storico-letterari e i caratteri di Dante e di Arjuna non solo come pragmatici uomini di Stato ma anche come appassionati ricercatori che, oltre l’adempimento dei loro doveri nel mondo, anelano a realizzare la dimensione spirituale dell’uomo senza negarne l’umanità nel viaggio che dalla selva oscura conduce all’illuminazione e all’amore immortale.
‘La mia vita non è stata che una serie di tragedie esteriori, e se queste non hanno lasciato su di me nessuna traccia visibile, indelebile, è dovuto al’insegnamento della Bhagavad-gita.’
Mahatma Gandhi

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di Shriman Matsyavatara Prabhu

Shriman Matsyavatara Prabhu

Shriman Matsyavatara Prabhu

Secondo l’Ayurveda, l’aria (vayu) e lo spazio (akasha) sono due caratteristiche fondamentali della mente. Lo spazio (akasha) è necessario per l’apertura mentale, l’aria (vayu) per il movimento; la mente è infatti molto mobile, molto rapida. In questo senso potremmo paragonarla al cielo, un cielo spesso coperto di nubi, che in questa metafora rappresentano i dubbi, le incertezze, gli insuccessi accumulati dall’individuo. In una condizione di conflittualità interiore, di incoerenza tra le aspirazioni profonde dell’anima e le richieste perentorie dei sensi, la mente si muove rapidamente, bruscamente, oscillando di continuo da un oggetto all’altro, incapace di finalizzarsi in una direzione precisa; il movimento, realtà che ha un suo senso positivo, scade così al livello patologico di mera motilità, ed è di conseguenza causa di esperienze dolorose. Questo rimbalzare incontrollato, senza coerenza, senza progetto, è ben visibile negli attacchi di ansia, di panico, di angoscia. La perdita di speranza nella capacità di superare i propri limiti, lo scoraggiamento, sono esperienze che chiudono il cielo mentale. La persona che vive in un ambiente ristretto, fisico o psichico che sia, è infatti generalmente depressa. Sul piano clinico le depressioni sono modificazioni del campo mentale in senso restrittivo, causate da sbandamenti emotivi che legano sempre più ad identificazioni erronee ed effimere, principale motivo di incatenamento al ciclo di nascite e morti (samsara). La natura dell’anima invece è felicità, beatitudine, senza sbalzi né discontinuità, per questo non è soggetta né a depressioni né a eccitazioni, entrambi sintomi di inappagamento profondo e di mancanza di armonia nell’individuo. L’aria, l’acqua, il cibo, sono elementi a noi essenziali perché è di questi elementi che il nostro corpo è costituito. Siamo incapsulati negli elementi, dice la Bhagavad-gita, XV.7: L’essere vivente nel mondo della vita condizionata è un mio frammento eterno, ma lotta contro i sensi e la mente situati [generati] nella prakriti. Eppure esiste una via per liberarsi, per sfuggire ai condizionamenti di questa esistenza costretta, poiché anche gli elementi materiali, ben descritti nella filosofia Samkhya, originariamente non sono forza caotica, bensì energia di matrice divina. Ciò è ben spiegato nella letteratura upanishadica, che descrive in più passi, con un linguaggio simbolico e suggestivo, come nell’uomo e in ogni creatura siano presenti quegli stessi elementi che costituiscono l’universo, e come questi elementi siano di origine divina, ciascuno addirittura presieduto da una particolare manifestazione del Divino: “Le divinità, una volta generate, si precipitarono nel grande oceano [della vita] …[il Creatore] portò loro un uomo […] quindi disse loro: “Entrate ognuna nella sua dimora!”. Il fuoco, fattosi parola, penetrò nella bocca; il vento, fattosi respiro, penetrò nelle narici, il sole, fattosi vista, penetrò negli occhi; i punti cardinali, fattisi udito, penetrarono nelle orecchie; le erbe e le piante, fattesi peli, penetrarono nella pelle; la luna, fattasi pensiero, penetrò nel cuore; la morte, fattasi apana, penetrò nell’ombelico; le acque, fattesi seme, penetrarono nel membro virile…”. Nelle persone più dotate di visione, più libere dagli attaccamenti e dai condizionamenti, movimento e rapidità della mente si associano alla coerenza tra pensiero, parola e azione. C’è un piano, un progetto cui partecipano anche gli elementi di questa cosiddetta prigione, visibile nell’ordine che mantiene ogni componente di questa dimensione di realtà. L’evasione è a portata di mano se il disegno divino della realtà che ci circonda viene svelato; ciò può avvenire soltanto grazie allo sviluppo della consapevolezza e ad una visione elevata, che conducono verso la liberazione della Vita dalla crisalide della materia. Tale liberazione del sé spirituale, atman, viene tradizionalmente definita con il termine moksha, che corrisponde al kaivalya degli Yoga-sutra. La vista e il respiro sono entrambi collegati alla mente; esiste una visualizzazione interiore più elevata, ma c’è anche una visualizzazione esteriore che aiuta quella interiore. La visione di bei paesaggi naturali, ad esempio, aiuta ad espandere la mente, soprattutto se accompagnata da un impegno costante nella ricerca del sé e dalla compagnia di persone evolute. Simili visioni hanno da sempre costituito una componente importante nella vita di molti spiritualisti, soprattutto yogi, in quanto i luoghi di bellezza naturale agevolano l’ espandersi della mente e i moti lieti dell’animo. Visioni, attività e compagnie profondamente oneste e sincere portano alla guarigione, anche da gravi disturbi della personalità. I rimedi allopatici hanno effetti limitati e dovrebbero essere utilizzati solo in casi estremi, perché la cura funziona meglio se è attiva, vale a dire se la persona viene stimolata a lavorare su di sé, sugli atteggiamenti e sulle abitudini scorrette che hanno generato la malattia, a reimpostare consapevolmente la propria vita. Questo atteggiamento crea le giuste condizioni per dialogare, comprendere verità e trovare soluzioni ai problemi. Molte delle problematiche e delle cosiddette necessità di cui facciamo esperienza nella nostra società sono inesistenti, fantomatiche, ma le influenze della collettività, della magnetizzante comunicazione dei media, delle cattive compagnie, le rendono più reali di quanto non siano. E’ proprio per tentare di soddisfare bisogni irreali e quindi artificiali che gli individui affrontano molte frustrazioni e sofferenze. La fede (nella cura, in sé stessi, nel prossimo, nell’ordine naturale che assicura armonia al creato, nel Divino) rafforza la guarigione. Per sviluppare fede è necessario conoscere la scienza della vita, frequentare persone che siano ben indirizzate sul sentiero della guarigione ed ascoltare da loro esperienze di una differente dimensione di realtà. La guarigione dai disturbi della personalità può avvenire più facilmente in un’ottica olistica, che armonizzi i piani fisico, psicologico, sociale, economico e relazionale con la visione spirituale. La qualità fondamentale da sviluppare è l’equilibrio, strumento di superamento degli opposti, quindi di trascendenza. Nella Bhagavad-gita, Krishna parla dei condizionamenti provocati dalle tre influenze della natura materiale: ignoranza, passione e virtù. Le persone non vengono condizionate soltanto da tamas, che produce inerzia e paralizza la coscienza, né solo da rajas, che genera l’azione caotica e agitata ma, paradossalmente, anche da sattva; questa situazione si manifesta nell’attaccamento al senso di benessere che, se non trasceso e quindi portato al suo stato di effettiva purezza attraverso la bhakti , può anch’esso risultare un ostacolo sulla via della perfezione. Brutto e bello, attrazione (raga) e repulsione (dvesha) sono coppie di opposti (dvandva), cause di condizionamento e infine di dolore. L’obiettivo della realizzazione spirituale è quello di superare ogni coppia di opposti, per poter contemplare anche la bellezza e il benessere in maniera distaccata. Il piacere, se incanalato verso la realizzazione spirituale, non costituisce una diminuzione della disciplina (sadhana) o della rigorosa coerenza (tapas) anzi, contribuisce ad espandere la coscienza. Nel decimo capitolo della Bhagavad-gita il Divino viene descritto anche in termini di bellezze naturali; Krishna afferma, ad esempio, di essere lo splendore del sole e della luna, ed anche l’Himalaya, oppure il mare . Più che indicazioni geografico-culturali, si tratta di categorie della nostra esperienza nel mondo sensibile che si impongono per presenza e magnificenza, rappresentando dunque l’aspetto eccelso del fenomenico. Ecco allora che il Divino assume caratteristiche di onnipresenza, non in senso panteistico, quanto piuttosto come radice unica e spirituale di ogni manifestazione. Contemplare paesaggi naturali con un elevato livello di coscienza equivale ad ammirare ed apprezzare ovunque la potenza e la magnificenza di Dio, interno ed esterno ad ogni realtà oggettiva.

tratto da http://culturavaishnava.blogspot.com/2009/03/il-mondo-dentro-e-il-mondo-fuori-di.html

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Un piatto di cibo offerto a Dio

Un piatto di cibo offerto a Dio

Shrila Prabhupada mentre cucina

Shrila Prabhupada mentre cucina

1)
Nama om vishnu-padaya
Krishna-presthaya bhutale
Srimate bhaktivedanta
Svamin iti namine

“Offro i miei rispettosi omaggi a Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, che e’ molto caro a Sri Krishna, poiche’ ha preso rifugio ai Suoi piedi di loto“.

2)
Namas te sarasvate devam
Gaura–vani-pracharine
Nirvisesha–sunyavadi
Paschatya-desa tarine

“I nostri rispettosi omaggi a te, o maestro spirituale, servitore di Bhaktisiddhanta Sarasvati Goswami. Tu stai gentilmente predicando il messaggio di Sri Caitanya e stai liberando i Paesi occidentali, invasi dall’impersonalismo e dal nichilismo”.

Shri Gaura Nitai

Shri Gaura Nitai

3)
Namo maha vadanyaya
Krishna-prema–pradaya te
Krishnaya Krishna–Caitanya
Namne gaura-tvise namaha

“Offro i miei rispettosi omaggi al Signore Supremo, Sri Krishna Caitanya, che e’ l’incarnazione piu’ magnanima di Krishna Stesso; infatti Egli concede liberamente cio’ che nessun altro ha mai concesso, il puro amore per Krishna”.

Shri Radha Govinda

Shri Radha Govinda

4)
Namo-brahmanya-devaya
Go brahmana hitaya ca
Jagad–hitaya Krishnaya
Govindaya namo namaha

“Offro I miei rispettosi omaggi alla suprema Verita’ Assoluta, Krishna, che e’ il benefattore delle mucche, dei brahmana e di tutti gli esseri viventi. Offro i miei ripetuti omaggi a Govinda (Krishna), che e’ la fonte di piacere per i sensi di tutti gli esseri“.

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Il tilaka (in sanscrito तिलक), viene utilizzato dai Vaishnava (seguaci di Vishnu) per evidenziare l’appartenenza ad una particolare linea disciplica (Sampradaya). La fronte ed il corpo del devoto vengono contrassegnati secondo un un rituale, spesso accompagnato dalla recitazione di mantra, quotidianamente o in occasione di feste e ricorrenze particolari.

Vallabha sampradaya
Nella Vallabha sampradaya viene tracciato sulla fronte un tilaka composto da una singola linea rossa, che rappresenta la dea Yamuna, la consorte di Sri Nathji, la collina Govardhana, la forma di Krishna a cui gli appartenenti della Vallabha sampradaya sono particolarmente devoti.

Madhva sampradaya
La Madhva sampradaya utilizza due linee verticali, che rappresentano i “piedi di loto” di Krishna, all’interno delle quali viene tracciata una linea scura, ottenuta con la cenere del fuoco dei sacrifici compiuti quotidianamente dai membri della sampradaya a Narayana o a Krishna. Un punto giallo viene aggiunto per simboleggiare Lakshmi o Radharani

Sri Vaishnava
I devoti appartenenti alla tradizione Sri Vaishnava, che si relazionano con Narayana attraverso la dea Lakshmi, tracciano il tilaka con due linee verticali che rappresentano i piedi di Narayana, con una linea rossa in centro che rappresenta Lakshmi ed una piccola linea sul naso che rappresenta il guru.

Gaudiya Vaishnava
Nella Gaudiya Vaishnava sampradaya il tilaka viene abitualmente tracciato con dell’argilla proveniente da Vrindavana. Simile al tilaka Madhva, vi sono però delle differenze dovute all’enfasi posta dalla tradizione Gaudiya alla preghiera individuale ed al canto (japa e kirtan). Nella linea di Caitanya Mahaprabhu il Bhakti Yoga è il metodo di liberazione del Kali yuga, da preferire ai sacrifici: per questo motivo non viene utilizzato nel tilaka la linea scura fatta con la cenere del fuoco del sacrificio. Inoltre, il punto rosso dedicato a Radha è sostituito da una foglia stilizzata sul naso, omaggio a Tulasi, la dea in forma di pianta. Il tilaka viene posto in 13 parti del corpo (fronte, braccia, petto, etc.)

Nimbarka sampradaya
Nella Nimbarka Sampradaya, il tilaka è fatto con la Gopi-Chandana, l’argilla del lago Gopi Kunda a Dwarka (Gujarat), come descritto nella Vasudeva Upanishad.

Putting On Tilak

Tilaka refers to the markings which Vaisnava devotees apply to their bodies, to remind themselves and others that we are all eternal servants of Lord Krsna. The U-shaped mark represents the heel of Lord Visnu, and the oval part represents the Tulasi leaf. Tilaka is applied to twelve parts of the body, and the twelve names of the Lord are recited with each application. To apply tilaka, start with a little Ganges or Yamuna water (if you don’t have any, get some water, and stirring it with your right middle finger, chant:

ganga cha yamune chaiva
godavari saravati
narmade sindho kaveri
jale ‘smin sannidhim kuru
“O Ganges, O Yamuna, O Godavari, O Saravati, O Narmada, O Sindhu, O Kaveri, please become present in this water.”
Put the water in your left hand, and rub the hard tilak into the water, creating a wet paste out of the clay. Begin by putting your ring finger of the right hand into the clay, and starting between the eyebrows, bring the finger straight up to the hairline, making two straight lines. It should look like a long, narrow U-shape. Then use some more tilak to make the Tulasi leaf on your nose, it should extend about 3/4 of the way down your nose. As you apply the tilak to your body, chant the following mantras:

 

 

forehead om keshavaya namaha
 belly om narayanaya namaha
 chest om madhavaya namaha
 neck om govindaya namaha
 right belly om vishnave namaha
 right arm om madhusudhanaya namaha
 right shoulder om trivikramaya namaha
left belly om vamanaya namaha
left arm om shridharaya namaha
left shoulder om hrishikeshaya namaha
upperback om padmanabhaya namaha
lower back om damodaraya namaha

 

Take the remaining tilak, and wipe it on the back of the head, in the area of the sikha, and chant om vasudevaya namaha.

Lord Shiva says to Parvati that in the middle of the tilak marking there is a space, and in that space reside Lakshmi and Narayana. Therefore the body that is decorated with tilaka should be considered a temple of Lord Vishnu.

 

Tilak mantra

Tilak mantra

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Vi propongo un video fatto da “nonsoloanimaTV” a Shriman Matsyavatara Prabhu.

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La dottrina degli Avatara

di Shriman Matsyavatara Prabhu

 

Ete camsha-kalah pumsah krishnas tu bhagavan svayam indrarivyakulam lokam mridayanti yuge yuge.
Bhagavata-purana I.3.28.

Tutti questi [Avatara] sono emanazioni plenarie del Signore o emanazioni di queste emanazioni plenarie. Ma Krishna è Dio, la Persona suprema. Di era in era, ogni volta che in qualche luogo dell’universo gli atei seminano la discordia, [gli Avatara del Signore Si manifestano] per proteggere [le persone pie]. 

 

Matsya.

Il primo Avatara: Matsya.

Abbiamo visto soltanto alcuni dei riferimenti tratti delle Sacre Scritture della tradizione religiosa Hindu, nei quali si afferma che Vishnu-Krishna è Dio. In questi Testi si parla anche di Avatara, ovvero di manifestazioni del Supremo, le Quali discendono nel mondo empirico per svolgere, attraverso i Loro lila (giochi divini), missioni particolari volte a ristabilire gli eterni principi del dharma.

Paramatma è la fonte originaria degli Avatara, che possono essere di varie categorie: purusha-avatara, guna-avatara, lila-avatara, yuga-avatara, manvantaraavatara, shaktyavesha-avatara.

Dei purusha-avatara fanno parte Karanodakashayi Vishnu, Garbhodakashayi Vishnu e Kshirodakashayi Vishnu, grazie ai Quali la manifestazione cosmica viene emanata, sostenuta e riassorbita.

I guna-avatara sono invece Vishnu, Brahma e Shiva, che costituiscono la Trimurti di cui abbiamoappena parlato. Sono così chiamati perché presiedono rispettivamente ai tre guna della virtù, della passione e dell’ignoranza.

Tra i lila-avatara i più importanti sono Matsya, Kurma, Varaha, Nrisimha, Vamana, Parashurama, Rama, Balarama, Buddha e Kalki, noti anche come dasha-avatsra. 

Gli yuga-avatara Si manifestano sulla Terra durante un particolare yuga e sono caratterizzati da un preciso nome e colore.

I manvantara-avatara Si manifestano invece una volta ogni manvantara, ovvero ogni settantuno cicli cosmici, ciascuno composto da quattro yuga. Gli shaktyavesha-avatara sono jiva speciali, potenziati direttamente dal Signore per svolgere alcune particolari missioni in questo mondo. A parte l’ultima categoria descritta, queste emanazioni purna o apurna (totali o parziali) del Diounico, Eka Atman, che Si manifestano in forme umane o animali, appartengono tutte alla categoria Vishnu-tattva e sono perciò inalterabili, spirituali, trascendenti al paradigma spazio-temporale, dunque sempre sul piano assoluto. E’ infatti caratteristica del supremo Purusha, Narayana, essere sempre uguale a Se stesso e rimanere tale anche quando Si manifesta nelle varie forme (rupa) spirituali, in parte sopra elencate.

Gli Avatara non vanno perciò confusi con i deva che, pur essendo straordinariamente influenti e capaci di compiere imprese per noi umani sbalorditive, appartengono generalmente alla categoria jiva-tattva, né tantomeno vanno confusi con jiva, i quali, pur costituiti di pura energia spirituale, allo stato condizionato sono diversi dal corpo di materia che indossano.

(tratto dal testo “Divinità, Umanità, Natura” – Edizioni CSB)

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Cari devote e devoti,

vi prego di accettare i miei umili omaggi. Tutte le glorie a Shrila Prabhupada.

Una comunicazione importante, alla quale dare tutta la nostra attenzione: una corsista del Centro Studi Bhaktivedanta, cara devota e amica, sta purtroppo lasciando il corpo presso l’Ospedale Bellaria di Bologna per un tumore maligno che ormai le lascia poco tempo di vita in questa dimensione. Shriman Matsyavatara Prabhu sta partendo oggi pomeriggio per recarsi da lei e conferirle le benedizioni da lei tanto desiderate e considerate il bene più prezioso, la speranza vera, il valore eterno.

Preghiamo tutti intensamente affinché ciò possa essere possibile e che il Signore sempre protegga e illumini, portandola fino a Lui, questa nostra cara compagna di viaggio.

Consapevoli che la fortuna più grande è morire da spiritualmente vivi, ringraziamo bhaktin D. per il grande esempio di Bhakti che ci sta dando e ci uniamo nel cuore ai suoi familiari.

Ringraziando tutti voi per la vostra vicinanza e preghiere,

vostra servitrice,

M. dasi

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di Matsyavatara Prabhu

 

sri-radha-madhava_2601

Shri Shri Radha Madhava a Mayapur Dhama

 

 

Murti è un termine sanscrito che indica una manifestazione fisica, dimensionale e visiva di una Divinità. Nella realtà dell’esperienza quotidiana noi possiamo avere conoscenza solamente delle cose che cadono sotto la nostra percezione sensoriale, che possiedono cioè una forma (murta), ecco perché è più facile, per chi vive in questa dimensione, avere un approccio al Divino anche attraverso la Murti.

Prima di parlare dell’iconografia di Vishnu, Krishna, o di altre Divinità è doveroso fare alcune precisazioni riguardo alla natura e alla funzione del simbolo, e più precisamente delineare le differenze che vi sono tra il simbolo come viene concepito nella psicologia o nella linguistica occidentali e il suo valore nell’ambito del Divino nella tradizione vaishnava.

Nelle scienze psicologiche il simbolo ha una valenza abbastanza ampia, infatti l’analisi dell’attività onirica, considerata appunto simbolo rivelatore dell’inconscio, va sicuramente oltre il mero, immediato significato dell’oggetto, per sfociare in valori, concetti e sentimenti più ampi, sottili e remoti.

L’inno nazionale o una bandiera simboleggiano una nazionalità; possono evocare sentimenti di appartenenza ad una nazione in tutti coloro che con essa si identificano, ma una volta espletata tale funzione questi simboli, non contenendo un senso ulteriore, esauriscono gran parte della loro importanzae funzione. Certo, una bandiera o un inno nazionale non possono dirsi semplicemente un pezzo di stoffa o un brano musicale, perché in essi c’è un valore aggiunto, ma tale valore è proprio di una simbologia che si esprime sul piano transiente, in ambito fenomenico o adhibhautika, per cui rientra nella dimensione storica, temporanea, non in quella sacra, metafisica, metastorica.

Nella teologia vaishnava il simbolo è una realtà di per sé, un prolungamento della dialettica del Divino infatti, tutto ciò che non si può considerare direttamente connesso alla sfera spirituale, lo diventa perché partecipa ad un simbolo. La Murti, benché rappresentata da elementi fisici, trascende la realtà fenomenica, e tutti gli ornamenti, gli oggetti ad Essa relativi (il flauto, la mazza o il disco, gli abiti, la tiara o la piuma di pavone) partecipano alla Sua sacralità. In questo senso il simbolo è esso stesso una ierofania, in quanto rivela la realtà sacra, ontologica, suprema; è un riflesso (praticchaya) del Divino. Per questo motivo, proprio perché la Murti non si limita ad una certa conglomerazione di elementi, ma rappresenta qualcosa che va ben oltre, la Sua adorazione non può andare sotto il nome di idolatria.

Come spiega Bhaktivedanta Svami Prabhupada, “Le Scritture vediche precisano che il culto di Dio può essere saguna (con attributi) o nirguna (senza attributi), ovvero rivolto alla manifestazione personalistica o impersonalistica di Dio. L’adorazione delle Murti nel tempio è saguna perché il Signore vi è rappresentato con l’aiuto di elementi materiali. Ma la forma del Signore non è materiale anche se rappresentata nel legno, nella pietra o nei quadri ad olio.

La natura del Signore Supremo rimane assoluta.
Facciamo un esempio un po’ spiccio ma appropriato: una lettera impostata in una delle buche postali che sono collocate sulla via pubblica giungerà a destinazione senza difficoltà; la stessa cosa non accadrà ad una lettera gettata in una qualsiasi fessura o in una imitazione di buca da lettere non riconosciuta dall’ufficio postale. Così Dio, il Signore Supremo ha la Sua rappresentazione autorizzata nella Murti o arca-vigraha che è una Sua manifestazione; attraverso la Sua forma arca, Dio, onnipresente e onnipotente, può accettare le offerte del Suo devoto e facilitare così il servizio che Gli dedicano le anime incarnate”.

Gli Shastra Vaishnava affermano che la qualità della fede religiosa, in un dinamico equilibrio con la purezza di cuore e di mente[1], “trasforma” gli oggetti in qualcosa di diverso da quel che sembrano nell’esperienza profana; e questi oggetti, attraverso un processo “simbolico”, assumendo il ruolo di simboli sacri, ovvero “indicatori” (nidarshana) di una realtà spirituale, trascendono i loro limiti materiali (marmo, legno, stoffa, metallo, suono, pensiero ed altro), cessando di essere frammenti isolati, grossolani o sottili, a seconda che siano costituiti di elementi fisici o psichici, per integrarsi in un sistema o, meglio ancora, per rappresentare la sfera del sacro e rivelarne la dimensione.

Quel che vale per la Murti vale anche per il Nama (Nome divino), per i Lila (giochi divini), per il Dhama (luogo santificato da una manifestazione del Signore), per gli Shastra (Sacre Scritture); tutte queste rappresentazioni del Divino possono essere percepite attraverso il processo simbolico e contemporaneamente ciascuna di esse non solo rappresenta la realtà suprema, tattva, ma è tattva di per sé.

Il simbolo può essere compreso a vari livelli: fisico-letterale[2], psichico-concettuale-immaginativo[3] o spirituale-rasika[4], a seconda della consapevolezza e delle capacità proprie dell’individuo. Poichè molto raramente chi intraprende un cammino spirituale è libero dal condizionamento degli opposti (dvandva)[5], tenderà a percepire la Murti, il Nama, gli Shastra e via dicendo nel modo fisico-letterale, non avendo quell’equilibrio sufficiente che fornisce la chiave di lettura per tutti i livelli. Questa iniziale percezione del Divino è comunque apprezzata da chi vive una coscienza elevata; il sadhaka evoluto infatti non svaluterà le percezioni immediate, sensoriali, perché consapevole che nella fase propria del kanishtha esse sono necessarie per potersi elevare e procedere oltre sul sentiero della realizzazione del sé.

L’oggetto “simbolo sacro” ha valenza ontologica nel Vaishnavismo e, pur apparendo contestualizzato entro il paradigma spazio-temporale, a seconda della qualità della fede religiosa e delle intrinseche capacità e qualificazioni (adhikara) del ricercatore, può rivelare ben altri orizzonti. A differenza dell’asta per il salto in alto, che porta l’atleta oltre l’ostacolo ma subito dopo viene da questi abbandonata in quanto ha esaurito la sua funzione, il simbolo sacro proietta il devoto vaishnava oltre la dimensione fenomenica, sul piano della Realtà e, al contrario del simbolo profano, dopo aver espletato questo compito non si dissolve né si svaluta e, mantenendo immutata la propria funzione, continua ad evocare nel sadhaka emozioni e sentimenti spirituali (rasa).

 


[1]  La fede autentica (shraddha), ingrediente primario per esperire il Divino, favorisce anche il processo di purificazione della mente e del cuore, ma è altrettanto vero che senza la purezza di cuore e di mente non si può giungere ad una fede salda e genuina.

[2] In questo caso il ricercatore spirituale (sadhaka) non riuscirà a percepire la Murti oltre l’aspetto di statua sacra; considererà gli Shastra come libri autorevoli, ma non riuscirà a superarne il senso letterale; per lui il Santo Nome sarà poco più di un suono e via dicendo.

[3] In questa fase il sadhaka non si limita più all’impatto pratyaksha con la realtà: lo ha superato per cominciare un cammino simbolico, interiore; riesce a concettualizzare, ad avere intuizioni e realizzazioni, a fare delle associazioni, comincia ad ampliare la propria cornice conoscitiva e a cogliere aspetti più sottili, dinamici, trascendenti della sfera del sensibile.

[4] ‘Nell’ambito del rasa’. Rasa è tutto ciò che possiede gusto e sentimento; qui si allude al puro ambito spirituale. A questo stadio il sadhaka, ormai evoluto al massimo grado, ottiene la definitiva, nitida percezione della realtà assoluta: si ha dunque la completa attivazione dei sentimenti spirituali, che fluiscono continuamente e reciprocamente tra devoto e Divinità.

[5] Questo termine sanscrito designa la “coppia di opposti”, che possono essere di natura esteriore o interiore, ad esempio caldo-freddo oppure gioia-dolore. Rappresentano la dualità che caratterizza il mondo delle condizioni e il sadhaka, con l’aiuto del guru e della disciplina spirituale (sadhana), deve comprenderli a fondo ed armonizzarli per giungere al livello di nirdvandva, in cui non si è più soggetti alla continua, dolorosa oscillazione tra poli opposti. Cfr. Bhagavad-gita II.14-15; II.45; V.3 e VII.27-28.

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di Shriman Matsyavatara Prabhu

 

Shriman Matsyavatara Prabhu

Shriman Matsyavatara Prabhu

C’è una forma di Yoga chiamata nadayoga che è conosciuta come mantrica, ovvero che utilizza il mantra. Attraverso l’utilizzo di aggregati sonori, si ottengono accostamenti a dimensioni diverse da quelle che l’umano generalmente frequenta.

Il termine sanscrito mantra significa ‘strumento di pensiero’, e anche ‘ciò che protegge la mente’. La vibrazione sonora del mantra, infatti, armonizza la mente e la protegge dai pensieri tossici. Quando si è smarriti, negativi, depressi, o comunque emotivamente provati, alterati, cantare o recitare il mantra con sincerità, può modificare radicalmente lo stato di coscienza e produrre serenità, gioia, visione ed ispirazione. Il mantra ha la forza, la potenza d’illuminare la mente, di farla risplendere e di annullare la tenebra che produce malinconia e depressione. Il mantra non è strutturato come un discorso speculativo, con un inizio, uno svolgimento ed una conclusione; esso non spiega, essendo formulato in un modo che dà per scontata la conoscenza dei contenuti cui si riferisce. E’ efficace di per sé, ma ancora di più e ancor più completamente nella misura in cui chi lo recita è profondamente consapevole di ciò che sta recitando e della motivazione con cui lo fa.

 La letteratura vedica è costituita da un numero incalcolabile di mantra. Tra questi il Mahamantra o ‘grande mantra’ è il più importante nella spiritualità vaishnava poiché tradizionalmente rappresenta la forma sonora di Dio e possiede le Sue stesse potenze o shakti. Ogni sillaba è densa di energia spirituale, e può trasformare l’energia psichica da disecologica ad ecologica. Il Mahamantra dunque è il Signore supremo fattoSi strumento per consentire agli umani di purificare le proprie menti, provocando in loro un cambiamento di coscienza e fornendo una spinta ascensionale che li rende capaci di spezzare tutti i vincoli egoici, di riarmonizzare le varie istanze interiori e di sviluppare le facoltà superiori latenti.

La pura, trascendente vibrazione del Mahamantra, quando esso viene cantato, invocato o meditato con attitudine adeguata, consente di schiarire il campo mentale, di sentirsi in armonia con tutto il Creato e di provare sentimenti profondi di amore e gratitudine per Dio.

Il mantra dunque è la forma sonora della Verità (satya rupa), e nel caso del Mahamantra è così composto:

 

Hare Krishna Hare Krishna

Krishna Krishna Hare Hare

Hare Rama Hare Rama

Rama Rama Hare Hare

 

Krishna è un nome di Dio che significa ‘l’Affascinante’, Rama invece si riferisce al Supremo come a ‘Colui che dà piacere’ e Hara (nel mahamantra al vocativo) designa l’energia di Amore di Dio, o Hladini shakti.

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Lettera aperta a tutti coloro che cercano cure psico-spirituali

di Shriman Matsyavatara Prabhu

 

Shriman Matsyavatara Prabhu

Shriman Matsyavatara Prabhu

 

Chiedete guida e cura perché vi hanno detto, o vi siete persuasi, o solamente perché avete l’intuizione di soffrire di un disturbo della psiche, dell’umore, della personalità, della vita relazionale, dell’adattamento. O semplicemente perché vi risulta inaccettabile l’idea che avete della sofferenza e della morte.

Ma salute e malattia, adattamento e disadattamento al mondo fenomenico, sono idee illusorie, pseudo-realtà nel contesto di maya. Voi per primi sapete, avete deciso, che non volete “adattarvi” al mondo dell’illusione. Vi ricordo che nascita e morte, sviluppo e declino, salute e malattia, sono fasi cangianti e transitorie della vita incarnata nella condizione umana, epicicli dell’esistenza reale, che attraversa i mondi e i corpi della manifestazione oggettiva e impermanente. 

Normalità e malattia non esistono, se non nella visione illusoria dell’uomo; nella realtà esiste l’infinito percorso dell’evoluzione spirituale, ed esistono vicende e accidenti su questo percorso: tappe, progressi, ristagni e deviazioni, cadute, imprigionamenti e progressive liberazioni. 

Alcuni di questi accidenti vengono isolati e classificati, dalla Medicina e da alcune Scuole di Psicologia, come “malattia”.  E Medicina e Psicologia li studiano e li curano in una prospettiva che troppo spesso non è consapevole e non tiene conto del contesto evolutivo in cui essi si inseriscono. 

Esse possono così ottenere risultati rispettabili, apprezzabili e utili, nel breve termine e limitatamente ai sintomi; possono anche avere una certa capacità preventiva, ma la portata e i mezzi della loro cura e della loro prevenzione non possono andare oltre, non possono raggiungere la sostanza, proprio perché non li contestualizzano nella realtà e nel processo di evoluzione spirituale, che per esse rimangono invisibili, seppur talora lontanamente intuibili. 

La Tradizione della Psicologia spirituale bhaktivedantica opera in modo e con mezzi sensibilmente diversi. Un sintomo, un conflitto interiore, un’angoscia di morte, possono avere un significato, una valenza ulteriore nella proiezione evolutiva rispetto ad una visione medico-psichiatrica. L’uomo non è semplicemente un organismo che deve cercare di restare o ritornare in salute (già questa concezione produce malattia), ma è un essere cosciente che ha davanti a sé un percorso verso una meta e che, per raggiungerla, deve evolversi psicologicamente realizzando una ad una le istanze più nobili della propria personalità: desiderio di sapere e capacità di conoscere, gioia, senso morale, bellezza, forza di volontà, compassione, saggezza e Amore. 

 Per me il vero successo di una psicoterapia non consiste nel produrre “normoinseriti”, bensì nell’aiutare le persone a liberarsi da identificazioni e condizionamenti, anche da quelli cosiddetti “normali”, che in realtà costituiscono le peggiori tra le illusioni e le schiavitù. Spesso si è potuto constatare che la cosiddetta “normalità” non è affatto emblema di salute, ma è essa stessa un precario equilibrio psicopatologico, sovente sostenuto da farmaci e droghe (leggere e pesanti). 

Insomma, ossessioni e fobie, depressioni e manie blande e croniche, incapacità apprese, cecità selettive, ricerca di rapporti frustranti e traumatici, non si notano semplicemente perché la maggior parte della gente è affetta dalle stesse sindromi. 

Non è a simili adattamenti che io miro.

La cura psicologica più efficace è quella che avviene da dentro la persona, è un lavoro che la persona fa su sé stessa, non qualcosa che io, dall’esterno, faccio alla persona. 

Le cure farmaceutiche sono utili, certo, e in alcuni casi addirittura indispensabili; ciò nonostante una persona afflitta da patologie fisiche o psichiche ha una necessità primaria: quella di ritrovare la propria centratura, di ristabilire quell’ordine interiore che consente non solo di guarire, ma di mantenere una buona salute il più a lungo possibile. Secondo la scienza ayurvedica malattia è sinonimo di disordine, disordine che la chimica può curare solo parzialmente, ovvero se la cura farmaceutica si incentra su di uno stato psicologico in trend di recupero. Il soggetto può veramente recuperare salute se il principio attivo della guarigione, che parte da dentro, è stato riattivato; il noto detto di Giovenale mens sana in corpore sano dovrebbe essere così interpretato: il corpo può mantenersi sano se la psiche è sana. 

Il contributo migliore è dunque insegnare alle persone a cercare la verità dentro sé stesse, ad aprirsi all’amore e alla conoscenza interiore, a riconnettersi alla fonte, alla nostra natura più profonda, che abbiamo dimenticato. I cambiamenti esterni accadono come effetto secondario della nostra maturazione interiore. 

Conformemente ad una multimillenaria tradizione Yoga offro soluzioni e strumenti molto diversi dalla Medicina e dalla Psicoterapia intese in senso occidentale. Mi baso su un’altra concezione dell’uomo e del cosmo, della salute e della malattia. Io risveglio, sviluppo e parlo alla coscienza, insegno, indico, educo spiritualmente. Non tratto sintomi e malattie come farebbero uno psichiatra o uno psicoterapeuta materialista, perché a me non sono il ‘sintomo’ o la ‘malattia’ che appaiono, ma un’altra realtà. 

Soprattutto, insegno a riconoscere come la psiche funziona, come si blocca, come si riattiva, secondo la scienza dello Yoga bhaktivedantico, dell’Unione con l’Infinito, con Dio. 

La cura di tipo biomedico è una cura essenzialmente dei sintomi, di manifestazioni più o meno isolate, e tende a ripristinare uno stato di “normalità”, piuttosto che quello della salute olistica così com’è intesa nei testi dello Yoga.  

La cura fisiologica, psicologica, etico-morale bhaktivedantica (via dell’Amore e della Conoscenza) invece, è fondata sulla prevenzione e sulla sadhana-bhakti attraverso la quale l’individuo induce e abilita sé stesso a reinterpretare la propria immagine profonda (la coscienza e la consapevolezza della propria essenza spirituale e della propria eterna relazione d’amore che lo unisce al Creatore, al creato e alle creature) e a trasformare e guarire sé stesso, influendo, seppure in modo indiretto, molto positivamente anche sull’ambiente. 

Tradizionalmente, lo Yoga bhaktivedantico è un sistema di Psicologia del profondo, ma anche una via per ascendere con successo alle vette luminose della consapevolezza, con cui ciascuno – ammesso che abbia come Maestro un guru autentico (competente e coerente) e che voglia veramente migliorarsi – con l’ausilio di abhyasa (norme etiche e pratiche psico-spirituali da esercitare con costanza) e vairagya (distacco emotivo) può risvegliare e attivare in sé stesso strumenti di evoluzione e cura, fino alla gioia, l’illuminazione e l’Amore. 

Del resto, finché un individuo si pone passivamente come paziente  è praticamente impossibile che si senta fiducioso in sé, autonomo, capace di prendere le proprie decisioni. Ci sono soggetti che – per non assumersi le proprie responsabilità – vorrebbero lasciare le redini nelle mani di altri per farsi dettare come devono sentire e come devono agire. Questo costituirebbe un’interferenza, un grave condizionamento, una psico-dipendenza che dobbiamo accuratamente evitare, perché il mio scopo è, appunto, quello di liberare dai condizionamenti. 

 La cura bhaktivedantica non è praticata da un guaritore sul malato. Le psicoterapie che hanno concepito la malattia come “una cosa da togliere” sono tutte fallite. La verifica scientifica ha oramai accertato che sono incapaci di dare risultati dimostrati e stabili. 

       Ormai anche la ricerca scientifica dimostra piuttosto che la coscienza gioca un ruolo significativo nel creare il “qui e ora”, che il futuro non è predeterminato ma plasmabile e che può essere modificato essendo composto di possibilità che si vanno cristallizzando. E’ dunque il presente che costantemente determina il futuro. 

Dobbiamo capire ed accettare che siamo noi i responsabili del nostro livello di coscienza. Questa è una condizione imprescindibile per poter essere effettivamente in grado di operare cambiamenti migliorativi in noi e fuori di noi e per utilizzare appieno e al meglio le enormi potenzialità di autorinnovamento e autoguarigione attribuibili al pensiero umano, determinante anche sul piano della realtà fisica. Più le nostre convinzioni sono profonde e cariche di emozione, maggiori sono i cambiamenti che possiamo attivare, sia nei nostri corpi che nell’ambiente circostante; ma anche i pregiudizi hanno i loro effetti: negativi. 

Il campo mentale è in qualche modo primario rispetto al corpo fisico, e funziona come una specie di mappa dalla quale il corpo riceve i propri riferimenti strutturali. Detto in altro modo, il campo energetico è la versione corporea di un ordine implicito: il dharma, eternamente operante. 

Il dharma (divino ordine etico-universale che regola e sostiene la vita dell’uomo e del cosmo) non è un ordine artificiale che determina una repressione delle istanze profonde dell’essere, ma rappresenta quella norma inscritta, quasi come un codice genetico, nell’intimo di ogni creatura, la cui infrazione provoca una condizione innaturale, limitante e patologica, inevitabilmente segnata da conflitti e sofferenze. 

I cosiddetti fantasmi della memoria – complessi, fobie, ossessioni – sono causa di quei pensieri angoscianti che favoriscono la strutturazione della realtà fisica secondo modelli disecologici e patologici. 

In modo analogo, questa stessa connessione dinamica fra le immagini mentali, il campo energetico e il corpo fisico è una delle ragioni per le quali la devozione (bhakti), la conoscenza  (vedanta), la retta condotta, l’esercizio della compassione, la preghiera, la visualizzazione, la meditazione, sono in grado di curare anche il corpo. 

Nella scienza bhaktivedantica, rupa è il piano delle forme – comprendente le forme mentali ma anche quelle psichiche – dalle quali il corpo fisico dipende. Il piano rupa dipende a sua volta dal piano di  realtà ad esso superiore,  detto vibhuti.  Controllando e dominando il  livello della vibhuti grazie alle pratiche sopra descritte, si comprendono e si risolvono i problemi e le malattie del piano delle forme, non solo quelle della psiche e del corpo, ma anche quelle relazionali, che tanto ruolo hanno nel generare dolorosi conflitti. Essi, tuttavia, rappresentano solo un effetto collaterale del processo di autorealizzazione che la sadhana bhaktivedantica induce; il fine ultimo infatti, non è eliminare il male (fobie, dolore, attaccamenti, criticismo e aggressività), ma conseguire il bene: illuminazione, consapevolezza, libertà, felicità, Amore. 

Il Maestro-psicologo della tradizione bhaktivedantica (Guru) risveglia le persone ai pericoli di una filosofia di vita materialistica, consumistica ed egoistica, è un formatore e un ispiratore della coscienza che, educando la mente, impartisce un insegnamento spirituale personalizzato allo studente, il quale lo applica su di sé in modo autonomo al fine di sviluppare ciò che ha già dentro di sé, e superare, liquidare, le vere cause della propria sofferenza: condizionamenti (panca klesha), cicatrici e blocchi emotivi (samskara) e tendenze inconsce (vasana) – al fine di riattivare le proprie facoltà superiori latenti e di riprendere autonomamente e con gioia il cammino della realizzazione del sé e dell’Amore. 

Dunque, come ho tante volte spiegato, in aula e nei miei testi, io  insegno Psicologia e 

Filosofia yoga (Bhakti-vedanta yoga) attraverso Corsi mirati e personalizzati per lo sviluppo di conoscenze e di capacità di applicazione pratica; le mie cure sono spirituali e non sono sostitutive di diagnosi e terapie mediche. Esse sono piuttosto mirate ad aiutare ognuno a scoprire e percorrere con gioia il proprio cammino di guarigione e d’illuminazione interiore. 

Il mio impegno è quello di creare le basi per una comunicazione profonda e soddisfacente, per una crescita significativa sul piano personale e sociale, nell’ambito di Corsi di studio personalizzati, di ricerca e sperimentazione che il CSB mette a disposizione per quanti abbiano  desiderio  di  approfondire. 

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